Nuovi LEA. Vere novità (poche), contraddizioni e limiti

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Nino Cartabellotta, Presidente Fondazione GIMBE

Se per definizione i LEA sono “tipologie di assistenza, servizi e prestazioni sanitarie” qual è il senso di annunciare alcune malattie croniche come protagoniste dei nuovi LEA? Forse che simili condizioni patologiche (scompenso cardiaco, diabete, osteoartrosi) oggi non sono comprese nei LEA e/o sono state inserite da precedenti decreti? Forse che i pazienti affetti dalle patologie croniche “new entry” non vengono da sempre assistiti, sia per le prestazioni territoriali che per quelle ospedaliere, interamente a carico del SSN? 


In un contesto particolarmente critico per il SSN, che nel periodo 2012-2015 dovrà rinunciare a quasi 25 miliardi di euro, è quanto mai istruttivo rileggere tre principi di evidence-based policy makingenunciati dal DPCM 21 novembre 2001 che ha introdotto i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA).

  • “I LEA includono tipologie di assistenza, servizi e prestazioni sanitarie che presentano, per specifiche condizioni cliniche, evidenze scientifiche di un significativo beneficio in termini di salute, individuale o collettiva, a fronte delle risorse impiegate”.
  • “I LEA escludono tipologie di assistenza, servizi e prestazioni sanitarie che:
    • non rispondono a necessità assistenziali tutelate in base ai principi ispiratori del SSN;
    • non soddisfano il principio dell’efficacia e della appropriatezza, ovvero la cui efficacia non è dimostrabile in base alle evidenze scientifiche disponibili o sono utilizzati per soggetti le cui condizioni cliniche non corrispondono alle indicazioni raccomandate;
    • non soddisfano il principio dell’economicità nell’impiego delle risorse, in presenza di altre forme  di assistenza volte a soddisfare le medesime esigenze”.
  • “Le prestazioni innovative per le quali non sono disponibili sufficienti e definitive evidenze scientifiche di efficacia possono essere erogate in strutture sanitarie accreditate dal Servizio Sanitario Nazionale, esclusivamente nell’ambito di appositi programmi di sperimentazione, autorizzati dal Ministero della salute”.

Se correttamente e uniformemente attuati, tali principi avrebbero apportato uno straordinario contributo alla sostenibilità del SSN, perché attestano la volontà di integrare le migliori evidenze scientifiche nelle decisioni di politica sanitaria e di rimborsare con il denaro pubblico solo servizi e prestazioni sanitarie di documentata efficacia. Viceversa, servizi e prestazioni sanitarie inefficaci, inappropriati o caratterizzati da una limitata costo-efficacia (low-value) non rientrano nei LEA. Infine, in assenza di prove di efficacia definitive, in linea con un’adeguata strategia di Ricerca & Sviluppo, l’erogazione di interventi sanitari innovativi deve essere circoscritta all’interno di specifici programmi di sperimentazione.

Dal novembre 2001 a oggi, la storia legislativa dei LEA è molto scarna: infatti, ad eccezione di alcune integrazioni, il testo di riferimento rimane quello originale. Degna di nota solo l’Intesa Stato-Regioni del 23 marzo 2005, che ha previsto l’istituzione del “Comitato permanente per la verifica dell’erogazione dei LEA”, con il compito di accertare la congruità tra le prestazioni erogate dalle Regioni e le risorse messe a disposizione dallo Stato.  Rimane nella memoria di pochi, come un ricordo ormai appannato, il DPCM 23 aprile 2008 che aveva ridefinito i LEA (oltre 5.700 tipologie di prestazioni e servizi) e previsto il nuovo nomenclatore tariffario di presidi, protesi e ausili. Il decreto sui “nuovi LEA” è stato infatti revocato nel luglio 2008 da un Governo diverso da quello che lo aveva elaborato, ufficialmente per “mancata copertura economica”, in realtà per l’italica consuetudine, a seguito di un avvicendamento politico, di gettare alle ortiche quanto realizzato dalla legislatura precedente.

Ma quali fattori prognostici sfavorevoli hanno ostacolato l’applicazione adeguata e uniforme del decreto sui LEA che, almeno sulla carta, poteva cambiare il destino della sanità italiana?

  • Al momento della sua pubblicazione (21 novembre 2001), il DPCM sui LEA non poteva tenere in considerazione la concomitante modifica del Titolo V della Costituzione, entrata in vigore l’8 novembre 2001. Si tratta infatti di un decreto la cui stesura è stata fortemente condizionata da un modello di sistema sanitario gestito direttamente dallo Stato. Peraltro, negli anni successivi, molte Regioni hanno introdotto LEA aggiuntivi senza tenere in alcuna considerazione i principi sull’efficacia-appropriatezza, sfruttando la loro autonomia in maniera opportunistica, per appagare la domanda dei cittadini e ottenere consenso elettorale.
  • I LEA prevedono un’articolazione dell’assistenza sanitaria in livelli, sottolivelli, servizi, prestazioni e procedure, ma non essendo mai stato definito l’elenco analitico delle prestazioni secondo i principi sopra enunciati, il monitoraggio dei LEA è sempre avvenuto a livello macro. Di conseguenza, ad esempio, durante un ricovero ospedaliero appropriato, un’azienda sanitaria può erogare servizi, prestazioni e procedure inefficaci e inappropriate che consumano preziose risorse.
  • Il flusso per la definizione dei LEA a livello di servizi e prestazioni sanitarie si è rivelato talmente complesso da andare in pensione dopo pochissime applicazioni pratiche: chirurgia refrattiva, manutenzione impianti cocleari, densitometria ossea.
  • La definizione di standard nazionali (linee guida, report di HTA), che avrebbero dovuto supportare tecnicamente la verifica dei LEA, soprattutto a livello di prestazioni, è di fatto inconsistente: il Sistema Nazionale Linee Guida non è mai decollato e la produzione di HTA reports e Horizon Scanning dell’Age.Na.S. ha avuto un’improvvisa, e ormai prolungata, battuta di arresto.
  • Dopo anni di polemiche sulla necessità di definire i costi standard, strumento indispensabile sia per un “bilancio preventivo” dei LEA, sia per il riparto del Fondo Sanitario Nazionale, lo schema di DPCM non è ancora passato al vaglio della Conferenza Stato-Regioni.
  • I fondi disponibili per la ricerca finalizzata (oltre 130 milioni di euro per gli anni 2011-2012) vanno ad alimentare altri bisogni: curiosando infatti tra i progetti finanziati dal penultimo bando domina la ricerca di base, fa un timido capolino la ricerca clinica, mentre la ricerca organizzativa (health se5rvices research) è quasi inesistente.

Di fatto, nel corso degli ultimi 11 anni, la progressiva resistenza delle autonomie regionali a riconoscere un decreto centralista, la mancata attuazione dei principi evidence-based e il ritardo nell’aggiornamento e nell’espansione degli elenchi di servizi e prestazioni hanno progressivamente ridimensionato il ruolo dei LEA, che non sono più uno strumento per definire i criteri e monitorare l’appropriatezza di servizi e prestazioni sanitarie, a livello macro, meso e micro, ma adempiono a una funzione esclusivamente finanziaria. Infatti, utilizzando la “griglia LEA”, set di 21 indicatori per la verifica sintetica dell’adempimento sul mantenimento dei LEA, vengono individuate – rispetto all’impiego delle risorse assegnate – le Regioni virtuose (adempienti) e quelle dissennate (rinviate al Piano di Rientro).

Per venire ai giorni nostri, previo annuncio nell’articolo 5 del Decreto Balduzzi, il 31 dicembre sono ufficialmente arrivati i “Nuovi LEA”, destinati a passare ancora sotto vari gioghi (Ministero dell’Economia, intesa Stato Regioni, Commissioni Parlamentari Sanità di Camera e Senato) prima di essere convertiti in legge. Inoltre, secondo le “dichiarazioni di intenti” di tale decreto, il nomenclatore tariffario dovrà essere aggiornato entro il 31 maggio 2013.

Ma quelli di Balduzzi sono veramente i “nuovi LEA”? Oppure concretizzano solo l’indifferibile esigenza di mantenere gli impegni legislativi annunciati dal DL 13 settembre 2012, n. 158 che porta il suo nome?

Ecco (in corsivo) le cinque novità annunciate dal comunicato stampa del Ministero della Salute sui “presunti nuovi LEA”.

 1. Entrano nei LEA:

  • 110 nuove malattie rare
  • le broncopneumopatie croniche ostruttive (BPCO) al II stadio (moderato), III stadio (grave), e IV stadio (molto grave), comunemente conosciute come enfisema polmonare e broncopolmonite cronica
  • le osteomieliti croniche, cioè malattie croniche infiammatorie delle ossa
  • le patologie renali croniche (con valori di creatinina clearance stabilmente inferiori a 85 ml/min)
  • il rene policistico autosomico dominante
  • la sarcoidosi al II, III e IV stadio, cioè malattie che interessano più tessuti e organi con formazioni di granulomi e che comportano problemi polmonari, cutanei e oculari.

La prima considerazione è squisitamente concettuale: se per definizione i LEA sono “tipologie di assistenza, servizi e prestazioni sanitarie” qual è il senso di annunciare alcune malattie croniche come protagoniste dei nuovi LEA? Forse che simili condizioni patologiche (scompenso cardiaco, diabete, osteoartrosi) oggi non sono comprese nei LEA e/o sono state inserite da precedenti decreti? Forse che i pazienti affetti dalle patologie croniche “new entry” non vengono da sempre assistiti, sia per le prestazioni territoriali che per quelle ospedaliere, interamente a carico del SSN?

Riguardo le malattie rare, pur non potendo entrare nel merito visto che l’elenco non è stato reso noto, il timore è che i “nuovi LEA” rappresentino l’occasione buona per legittimare l’erogazione di interventi sanitari di efficacia non documentata: farmaci di fascia C, supplementi dietetici e nutrizionali, vari interventi non farmacologici.

 2. Sindrome da talidomide

Consegue alla somministrazione dell’omonimo farmaco, nelle forme di amelia, emimelia, focomelia e micromelia. La sua comparsa “a sorpresa” (non era menzionata dall’articolo 5 del decreto Balduzzi) alimenta il sospetto che l’inserimento nei LEA sia stato reso necessario per riconoscere l’indennizzo ai soggetti affetti da tale sindrome (legge 24 dicembre 2007, n.244, art. 2, comma 363). Peraltro, non è specificato se nei LEA rientra anche l’indennizzo agli aventi diritto (nell’ordine coniuge, figli, genitori, fratelli minorenni, fratelli maggiorenni inabili al lavoro) qualora a causa della talidomide sia derivata la morte dopo l’entrata in vigore della legge 244/2007.

In ogni caso, forse che questi sventurati pazienti sino ad oggi hanno pagato di tasca loro le cure per l’assistenza?

3. Ludopatia

L’art. 5 del decreto legge 13 settembre 2012, n. 158 [omissis] modifica la definizione del sotto-livello di assistenza, attualmente riportata nel DPCM 29 novembre 2001 come “Attività riabilitativa sanitaria e sociosanitaria rivolta alle persone dipendenti da sostanze stupefacenti o psicotrope o da alcool”,  riformulandola come “Assistenza socio sanitaria alle persone con dipendenze patologiche o comportamenti di abuso di sostanze”.  Si afferma quindi il principio che le persone con ludopatia hanno diritto ad accedere al Ssn per ricevere le prestazioni di cui hanno bisogno, al pari dei soggetti con altre forme di dipendenze patologiche, senza che questo comporti ulteriori oneri dal momento che le Regioni non saranno tenute ad istituire servizi ad hoc. Vengono inserite nei LEA le prestazioni di prevenzione, cura e riabilitazione della ludopatia, affermando il principio che le persone affette da ludopatia hanno diritto ad accedere al SSN per ricevere le prestazioni di cui hanno bisogno, al pari dei soggetti con altre forme di dipendenze patologiche.

Questa è probabilmente l’unica vera novità dei nuovi LEA: certo che, a fronte del riconoscimento dell’assistenza a carico del SSN per una nuova forma di dipendenza patologica, sarebbe opportuno definire quali sono i servizi e le prestazioni di provata efficacia da garantire a questi pazienti[1,2].

4. Misure circa l’appropriatezza dell’assistenza specialistica ambulatoriale

Il provvedimento introduce anche misure per favorire l’appropriatezza dell’assistenza specialistica ambulatoriale e conseguire una riduzione degli oneri a carico del Ssn per tale livello di assistenza. In particolare le Regioni dovranno attivare programmi di verifica sistematica dell’appropriatezza prescrittiva ed erogativa dell’assistenza specialistica ambulatoriale, attraverso il controllo delle prestazioni prescritte ed erogate a pazienti con specifiche condizioni cliniche e, comunque, di almeno il 5% delle  prestazioni prescritte, effettuando cioè un controllo sulle ricette.

Per favorire lo svolgimento dei controlli, si prevede l’obbligo del medico prescrittore di indicare nella ricetta il quesito o il sospetto diagnostico che motiva la prescrizione, pena la inutilizzabilità della ricetta stessa. Inoltre, si forniscono in un allegato, le “indicazioni prioritarie” per la prescrizione di  prestazioni di diagnostica strumentale frequentemente prescritte per indicazioni inappropriate”.

In attesa di conoscere l’allegato delle prestazioni inappropriate (che giustifica l’introduzione di questo punto), oltre che di conoscere le metodologie con cui sono state definite, è necessario rilevare che:

  • la soglia del 5% delle prestazioni prescritte è arbitraria, statisticamente non rappresentativa, e si presta facilmente a selezioni opportunistiche; anacronistica l’espressione “programmi di verifica sistematica” se poi il controllo può essere limitato al 5% delle prestazioni;
  • il controllo ispettivo effettuato da enti esterni, rispetto al processo di verifica e miglioramento continuo effettuato tra pari (audit clinico)[3] – possibilmente inserito in una strategia multifattoriale[4] – è uno strumento di efficacia non documentata per modificare i comportamenti professionali e migliorare l’appropriatezza delle prestazioni sanitarie;
  • l’obbligo a motivare il quesito o il sospetto diagnostico, verosimilmente, sarà intralciato dal Garante della Privacy.

5. Epidurale

“Viene prevista nei LEA la maggiore diffusione dell’analgesia epidurale, prevedendo che le Regioni individuino nel proprio territorio le strutture che effettuano tali procedure e che sviluppino appositi programmi volti a diffondere l’utilizzo delle procedure stesse”.

Senza entrare nel merito dei fattori che potrebbero ostacolarne una maggiore diffusione (disponibilità di strutture e tecnologie adeguate, carenza di anestesisti con adeguata competence, etc.), è indispensabile ribadire che l’analgesia epidurale è solo una delle modalità per gestire il dolore in occasione del parto e che le evidenze scientifiche documentano sia benefici che rischi[5]. Indubbiamente è una opportunità che deve essere offerta alle donne, ma la loro scelta deve essere consapevole previa adeguata conoscenza di rischi e benefici. Enfatizzarne l’utilizzo nei LEA, legittimando la percezione che l’analgesia epidurale è la modalità più efficace e sicura per gestire il dolore in occasione del parto, non è una scelta evidence-based.

Considerazioni finali

Senza entrare nel merito delle perplessità sollevate (Regioni, Cittadinanza Attiva, CIGL, Federconsumatori) per l’inopportuna concomitanza tra imponenti tagli alla sanità pubblica e nuovi LEA, né del fatto che la loro entrata in vigore è tutt’altro che scontata (potrà mai avvenire la discussione nelle Commissioni Parlamentari Sanità a camere sciolte?), tre considerazioni finali.

  1. Innanzitutto, i frettolosi “presunti nuovi LEA” di Balduzzi non hanno nulla in comune con i “nuovi LEA” della Turco del 2008, frutto di un certosino lavoro pluriennale affossato dal cambio di legislatura.
  2. In secondo luogo, il SSN inizia ad avvertire il bisogno di un testo unico sui LEA che allinei in maniera univoca tutta la legislazione in materia.
  3. Infine, se il prossimo esecutivo vorrà utilizzare i LEA per sostenere la sanità pubblica, dovrà impegnarsi sin da subito ad attuare con strumenti concreti (liste positive e negative di servizi e prestazioni sanitarie) i tre principi di evidence-based policy making, enunciati dal DPCM 21 novembre 2001, di cui Archibald Cochrane andrebbe fiero[5]!